Il volto dei farmaci per la
malattia di Parkinson sta cambiando. Non solo sta aumentando
la rapidità di questo cambiamento, ma si registra anche
un positivo spostamento dell'accento verso singole pillole che
trattano molti componenti della malattia. Tuttavia, come spiega
Peter Jenner, nonostante le possibilità, il futuro
di molti di questi trattamenti resta incerto
.. per ora
Il trattamento del Parkinson sta cambiando. È vero e inevitabile
che il cambiamento si sta verificando più lentamente rispetto
alle aspettative delle persone con Parkinson (PCP) e di quanti
li assistono, e tuttavia si è osservato un innegabile
spostamento dell'enfasi e uno slancio maggiore, che sta portando
a un utilizzo migliore dei trattamenti tradizionali e allo sviluppo
di nuovi. Insieme, queste attività iniziano a produrre
una 'generazione' di farmaci che potrebbero migliorare il controllo
dei sintomi motori e non motori nelle PCP e, con il tempo, alterare
il corso della malattia espletando un'azione neuroprotettiva
o neurorestorativa.
MARCIA AVANTI
I farmaci dopaminergici, come levodopa e gli agonisti dopaminergici
(DA), sono in commercio da circa 40 anni, eppure il loro impiego
è sfortunatamente associato a una serie di effetti indesiderati,
quali discinesia e psicosi. Tuttavia, oggi si è creato
un consenso sul ruolo chiave del modo in cui questi farmaci vengono
somministrati per garantire l'efficacia a lungo termine e la
prevenzione di complicazioni motorie.
La somministrazione quanto più possibile continuativa
dei farmaci è diventata un obiettivo chiave delle terapie
future, oltre a offrire alle PCP praticità di assunzione
dei farmaci e a ridurre il carico di pastiglie. Iniziato con
le infusioni subcutane di apomorfina, questo trend ha recentemente
portato all'introdizione della sommnistrazione continua intraduodenale
di levodopa (Duodopa®), sebbene con tecniche invasive e non
adatte a tutti.
Di conseguenza, l'attenzione si è spostata sui cerotti
transdermici contenenti rotigotina (Neupro®) e a volte altri
DA, come lisuride. Sono inoltre disponibili forme dei DA ropinirolo
e pramipexolo somministrabili una volta al giorno per ridurre
le fluttuazioni giornaliere del movimento ed eliminare la necessità
di somministrare dosaggi tre o più volte al giorno.
Un aspetto ancora più importante riguarda la prossima
disponibilità di una gamma di formulazioni di levodopa
per la somministrazione orale che rilascerà il farmaco
in modo più continuativo rispetto alle forme standard
di Sinemet e Madopar (migliorando l'assorbimento intestinale
e prolungando i livelli plasmatici e cerebrali). Nel frattempo,
è in corso di sviluppo un cerotto transdermico contenente
levodopa per la somministrazione giornaliera continua del farmaco.
Si tratta di un importante passo avanti in quanto levodopa resta
lo standard di riferimento e ad un certo punto viene prescritto
a tutte le PCP. Di qui la necessità di una somministrazione
cerebrale più efficiente e costante per mantenere la mobilità.
LA NUOVA GENERAZIONE
Gli effetti della somministrazione orale di levodopa possono
essere già resi potenti dall'uso dell'entacapone inbitore
delle COMT, che deve però essere assunto con ogni dose
di levodopa. Un nuovo inibitore COMT- BIA 3-202 - è attualmente
oggetto di valutazione clinica e potrebbe richiedere una sola
somministrazione giornaliera (o meno frequente) senza comportare
la tossicità del precedente composto ad azione prolungata
tolcapone. A entrare nella fase di sperimentazione clinica c'è
anche una nuova generazione di farmaci che stabilizzano la funzione
dopaminergica nel cervello, come l'ACR325. La speranza è
che questi farmaci possano sopprimere la discinesia prevenendo
l'iperattività della funzione dopaminergica comunemente
associata allo sviluppo dei movimenti anomali.
In tempi recenti, la filosofia che ha sotteso lo sviluppo dei
farmaci è stata di produrre molecole in grado di trattare
un solo componente di una patologia. Nel caso di malattie complesse
come il Parkinson, tuttavia, ciò comporta l'assunzione
di farmaci aggiuntivi per il trattamento di sintomi che esulano
da quelli primariamente associati ai disturbi del movimento.
Oggi si registra un ritorno a una classe di farmaci in grado
di espletare molteplici azioni farmacologiche. Questa classe
di medicinali potrebbe portare all'assunzione di un'unica pastiglia
in grado di trattare molti componenti della malattia.
Il pardoprunox, ad esempio - attualmente in sperimentazione clinica
di fase III - è un parziale DA che agisce anche come agonista
serotoninergico e antagonista noradrenergico. La sua azione antiparkinsoniana
è dimostrata, tuttavia si spera che possa anche prevenire
la psicosi, inibire la discinesia e agire come antidepressivo
o ansiolitico.
Anche la safinamide, un'altra molecola multifunzione, suscita
interesse in quanto può potenziare gli effetti della dopamina
attraverso l'inibizione del MAO-B e il recupero di dopamina,
ma può anche inibire le azioni del glutammato, un altro
importante neurotransmettitore del cervello colpito da Parkinson.
Safinamide, in combinazione con levodopa o con i DA, ha già
dimostrato di avere effetti positivi sui sintomi motori della
malattia e oggi sono in corso studi clinici per valutarne la
capacità di diminuire l'espressione della discinesia e
migliorare la funzione cognitiva. Safinamide e pardoprunox riflettono
una tendenza crescente verso lo sviluppo di farmaci in grado
di trattare i sintomi motori e non motori del Parkinson.
TREND PROMETTENTI
Recentemente è stato riconosciuto l'impatto diretto e
indiretto prodotto dal processo patologico su molti altri sistemi
neurotrasmettoriali nel cervello, oltre ai farmaci dopaminergici.
Tra questi noradrenalina, serotonina, acetilcolina, glutammato,
acido gamma-aminobutirrico (GABA), che potrebbero permettere
di trattare i componenti motori del Parkinson attraverso strade
alternative per evitare gli effetti collaterali tipici della
terapia e offrire strumenti efficaci per gestire i sintomi non
motori.
Molti di questi approcci si sono dimostrati promettenti nei modelli
sperimentali e sono attualmente in fase di valutazione clinica
iniziale. Tuttavia, si tratta di processi di valutazione piuttosto
complessi i cui risultati hanno, in molti casi, deluso le aspettative.
Ciò nonostante, leviteracetam e fipamezole sono stati
valutati in studi clinici di fase II e potrebbero dimostrarsi
in grado di ridurre l'espressione delle discinesie, mentre gli
antagonisti della adenosina A2a potrebbero offrire benefici sintomatici
nei periodi 'on' del Parkinson durante le ore di veglia, senza
provocare discinesie.
Nel frattempo, varie molecole nuove di questa classe sono attualmente
in fase di valutazione II/III (preladenant, ST-1535, BIIB014,
SYN 115) e sono stati già riportati miglioramenti nella
funzione motoria.
È stato esaminato un antagonista del glutammato che influisce
sui recettori mGluR5 per la soppressione della discinesia nel
Parkinson. Secondo gli studi clinici di fase II, questo antagonista
sembra efficace e probabilmente esente dagli effetti collaterali
che hanno finora piagato questa classe di farmaci.
Ci auguriamo che tutti questi approcci aggiuntivi amplieranno
l'armamentario di farmaci per il trattamento dei sintomi del
Parkinson. Per ora non resta che aspettare e vedere quanti di
questi supereranno il processo di sviluppo diventando farmaci
di comune utilizzo.
L'ILLUSORIA RICERCA
L'obiettivo ultimo di un trattamento farmaceutico per il Parkinson
consiste nel produrre composti in grado di influire sul processo
patologico fino a invertirlo. Questa ricerca si è dimostrata
finora chimerica e molto si sta facendo per determinare i meccanismi
che causano la morte delle cellule neuronali nel Parkinson e
i modi per prevenirli.
Attualmente gli approcci adottati sono molti e diversi, comprese
le valutazioni sugli effetti di sostanze quali co-enzima Q10,
vitamina D, creatinina e inosina (come precursore dell'urea).
Vettori virali, terapia genetica, terapie basate su cellule e
cellule staminali stanno facendo notizia e promettono bene per
il futuro. Tuttavia, esistono anche alcuni approcci farmacologici
piuttosto promettenti che presentano il vantaggio di essere già
disponibili per la valutazione negli studi clinici. Il legame
tra i canali del calcio di tipo L e la perdita di neuroni dopaminergici
viene sfruttato grazie all'uso di antagonisti del calcio, come
isradipina, già impiegati per trattare le patologie cardiovascolari.
I risultati promettenti, pervenuti dagli studi di laboratorio
condotti sui suoi effetti neuroprotettivi, si stanno ora traducendo
in un programma di sperimentazioni cliniche.
L'exendina-4, un farmaco usato per trattare il diabete di tipo
2, espleta interessanti effetti farmacologici che suggeriscono
un'azione protettiva contro i danni causati dalle tossine ai
neuroni dopaminergici nei modelli sperimentali del Parkinson
che invertono il danno provocato. Anche in questo, sono state
avviate indagini cliniche per capire se questo farmaco può
essere utile anche per rallentare il progresso della malattia.
Infine, a generare entusiasmo c'è anche un farmaco ricavato
da un medicinale della tradizione cinese. CoganeTM, una piccola
molecola che penetra nel cervello stimolando la produzione dei
fattori di crescita (GDNF; BDNF) che innescano la rigenerazione
dei neuroni dopaminergici, ha recentemente dimostrato di migliorare
la funzione motoria in un modello primate della malattia ed è
risultato sicuro nella somministrazione nelle PCP. Occorrerà
aspettare per vedere se questo risultato si tradurrà in
efficacia clinica, fornendo uno strumento in grado di trattare
il processo patologico, non solo i sintomi.
RICORDA, RICORDA
Questa breve panoramica sugli sviluppi in corso nel settore dei
farmaci per il trattamento del Parkinson, è presentata
a scopo puramente informativo per evidenziare le attività
svolte dalla ricerca nelle nuove strategie terapeutiche. Le sostanze,
i farmaci in via di sviluppo o già disponibili e impiegati
per nuovi scopi, nonchè altri elementi menzionati sopra
non hanno ricevuto l'autorizzazione alla vendita dalle autorità
competenti e non sono disponibili. Questi percorsi di ricerca
incoraggiano a sperare che in futuro il trattamento della malattia
di Parkinson potrà migliorare la qualità di vita
delle PCP in tutto il mondo offrendo maggiore mobilità,
riducendo gli effetti collaterali, migliorando il controllo dei
sintomi non motori e limitando il carico dei farmaci.
Peter Jenner è direttore del Neurodegenerative Diseases
Research Centre presso la School of Health e Biomedical Sciences
del King's College di Londra.
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