Il neurologo britannico Leslie
Findley osserva con tristezza che le persone con Parkinson
di tutta Europa ci stanno rimettendo perché alcuni medici
e politici potrebbero non agire nel loro interesse. Ma piuttosto
che scoprire lacqua calda, osserva, dovremmo guardare alla
ricerca passata ed applicarla
allepoca moderna. Di fatto, questo si sarebbe dovuto fare
più di 20 anni fa.
Considerare questo fatto frustrante significa soltanto minimizzarlo.
Lo abbiamo già visto prima, ci siamo già passati
in precedenza e i problemi di cui stiamo parlando sono stati
già evidenziati in passato.
Mi riferisco, naturalmente, ai risultati iniziali della prima
parte della campagna triennale online dellEPDA Move for
Change la quale chiedeva alle persone con Parkinson (PCP) se
venissero effettivamente indirizzate a un medico con uno speciale
interesse per il Parkinson, se venisse dedicato loro un tempo
di qualità sufficiente per avere una diagnosi accurata
e se comprendessero pienamente la portata di tale diagnosi.
Leggere alcuni commenti di PCP da tutta Europa per esempio,
Il mio medico ha detto che non avevo niente, Non
mi è stato spiegato nulla!, Non mi è
stata data nessuna informazione, dopo cinque minuti era già
fuori dallo studio del medico e Il medico sedeva
rivolgendomi la schiena mentre mi spiegava che avevo il Parkinson
non soltanto mi ha fatto sentire frustrato, ma mi ha costretto
a
scrivere questo articolo per denunciare alcune verità
scomode, nella speranza che qualcuno, da qualche parte, si renda
conto che le cose devono cambiare.
Sono stato fortunato ad aver preso parte a ricerche innovative
sul Parkinson nel corso degli anni, molte delle quali esaminavano
le esigenze delle PCP al momento della diagnosi e immediatamente
dopo. Ed eccoci qui, 30 anni dopo, a cercare di trasporre tutte
le nostre esperienze nel Regno Unito nellarena europea
per il bene di tutte le PCP. E tutto ciò che scopro è
che stiamo formulando le stesse domande e ricevendo le stesse
desolanti risposte in relazione al fatto che le PCP ricevano
o meno ciò che meritano: una diagnosi accurata comunicata
in modo rispettoso. Molti di questi reclami sono già
ben noti. Pertanto, perché dobbiamo ripetere le stesse
cose continuamente?
Dalla lettura del rapporto su Move for Change di EPDA Plus sembrerebbe
che, una volta comunicata la diagnosi e iniziato il trattamento,
in molti casi in tutta Europa ci sia un grado di soddisfazione
generale da parte del medico, ma non necessariamente da parte
della PCP. Il momento della diagnosi dovrebbe essere semplicemente
linizio di un processo educativo della PCP, che comporta
il supporto di altre
discipline, preferibilmente nella forma di un team multidisciplinare.
La sconfortante verità è che in Europa i servizi
relativi al Parkinson sono molto segmentati e che il limitato
coinvolgimento di un neurologo è il massimo che la maggior
parte dei pazienti riceve.
LA STORIA SI RIPETE?
Cè un precedente per questa sgradevole realtà.
Alla fine degli anni 70, divenne chiara nel Regno Unito
grazie a uno studio condotto dalla ricercatrice sociale
Marie Oxtoby lesistenza di ampie esigenze delle
PCP assolutamente non soddisfatte. Venne fuori che la maggior
parte delle PCP ricevevano la diagnosi, veniva dato loro un qualche
nuovo
trattamento a base di levodopa e tutto finiva li! E i pazienti
tornavano alle loro vite avvolti nella oscurità
dellignoranza.
Come risultato di ciò venne concepito il progetto triennale
Romford Project. Questo studio fu condotto tra il 1986 e il 1988,
grazie al finanziamento della Parkinsons Disease Society
(ora Parkinsons UK) ed è stato svolto dalla Essex
Neurosciences Unit di Romford, Essex. Lo studio ha valutato un
certo numero
di fattori relativi al Parkinson e ha introdotto un approccio
più olistico alla gestione della malattia tra ospedale,
comunità e PCP.
La prima parte del Romford Project riguardava il fatto che il
medico da solo non fosse sufficiente a gestire il Parkinson.
Pertanto, venne introdotto il concetto di team neurologico
oggi largamente costituito come team multidisciplinare
che si componeva originariamente di un terapista occupazionale,
un fisioterapista, un logopedista, un dietologo, un assistente
sociale e un consigliere.
Lo studio aveva come oggetto 36 PCP recentemente diagnosticate
tutte di stadio 1 di Hoehn e Yahr o pressappoco in quello
stadio la cui valutazione si svolgeva a domicilio.
Questo gruppo veniva confrontato con PCP con una diagnosi simile
provenienti da unaltra area
geografica e sottoposte al più convenzionale approccio
precedente in relazione alla diagnosi e alla gestione del Parkinson.
Questo tipo di studio non era mai stato tentato prima e ciò
che abbiamo scoperto nel corso di tre anni è che se chiedevamo
a singoli terapisti di valutare le PCP dallinsorgenza della
malattia venivano
riscontrate molte esigenze non soddisfatte.
Le diverse discipline coinvolte nel team neurologico riportavano
significative esigenze in precedenza non riconosciute in più
di due terzi delle PCP con diagnosi recente e mediamente colpite.
Le richieste più frequenti riguardavano consigli sulla
malattia e la necessità di maggiori informazioni in una
forma comprensibile. Vennero scoperte anche molte altre esigenze
non soddisfatte.
In un certo senso, avevamo aperto il vaso di Pandora. Rivelammo
che al momento della diagnosi le PCP avevano bisogno di più
input di quanto si ritenesse e scoprimmo che quando questi
pazienti ricevevano tali input terapeutici strutturati e controllati
stavano meglio rispetto ad altri gruppi di pazienti non altrettanto
fortunati nella cura. Purtroppo, questo è esattamente
ciò che la campagna Move for Change dellEPDA sta
scoprendo ora in tutta Europa, nonostante il fatto che lo avessimo
già dimostrato chiaramente più di 25 anni fa.
UN PROGETTO INNOVATIVO
Dal Romford Project abbiamo imparato qualcosaltro
ovvero l impatto della diagnosi. Il punto chiave da considerare
è che, dal punto di vista di un medico, la diagnosi di
una PCP può essere percepita come una buona diagnosi.
Il paziente ha una malattia che può essere diagnosticata
clinicamente e può
avere accesso a medicinali che ne influenzano i sintomi. Questa
è la situazione che i clinici apprezzano una malattia
con caratteristiche classiche, sulla quale si ha un certo controllo
apparente, se non proprio una cura.
Tuttavia, se considerando la diagnosi dal punto di vista di una
PCP ovvero, che cosa questa provava quando le veniva comunicato
di avere la malattia il quadro cambiava completamente.
La maggior parte di loro aveva reazioni da brutte a gravi.
Che brutta notizia, dicevano. È la peggiore
notizia che abbia mai ricevuto. Il Romford Project ci ha
fatto comprendere che in molti pazienti la diagnosi del Parkinson
produce un grave effetto avverso.
E molto altro sarebbe venuto. La Global Parkinsons Disease
Survey che ha esaminato le risposte di 1200 PCP di cinque
continenti ed è stata condotta dal gruppo di lavoro sul
Parkinson dellOrganizzazione Mondiale della Sanità
dal 1998 al 2000 [i risultati dellindagine sono stati pubblicati
nel 2002] ha confermato quanto appreso con il Romford
Project. Lo studio ha rivelato che il modo in cui le PCP vengono
trattate al momento della diagnosi da parte del loro medico influenza
la loro qualità
di vita futura e la loro capacità di affrontare la malattia
da quel momento in poi. In altre parole,
sprecate quel momento durante la diagnosi o fate passare alla
PCP una brutta esperienza e potreste non correggere mai questo
errore.
Non ci si deve dimenticare di sottolineare sempre che una diagnosi
di Parkinson non deve essere mai comunicata sbrigativamente alla
fine di una visita. Bisogna prendersi del tempo almeno
20 minuti o mezzora solo per discutere la diagnosi.
E il paziente deve essere congedato con la rassicurazione che
entro un lasso ragionevole di tempo, vale a dire nelle settimane
seguenti, avrà un altro incontro nel quale potrà
approfondire tutte le informazioni appena ricevute e fare tutte
le domande che vuole alla presenza di qualsiasi parente, amico,
assistente o terapista possa volere al suo fianco.
COME ANDIAMO AVANTI?
Passando allepoca attuale, credo che il Regno Unito
certamente un leader nel riconoscere le esigenze olistiche delle
PCP abbia fatto decisamente un grande passo avanti nella
direzione verso la quale ritengo che dobbiamo dirigerci. Qui
si tende molto ad adottare un approccio multidisciplinare nel
quale tutte/la maggioranza delle PCP abbiano accesso ad infermieri
specializzati i quali, a loro volta, hanno accesso ai servizi
comunitari. La formazione di infermieri specializzati è
anchessa molto buona nel Regno Unito, con diversi corsi
certificati post-diploma a disposizione. Inoltre, ad alcuni infermieri
viene riconosciuto lo status di consulenti e possono prescrivere
o modificare i medicinali. Tutte
queste competenze e conoscenze specialistiche con un rapido
accesso al team multidisciplinare
rappresentano un logico passo avanti.
Lesperienza europea, tuttavia, ci racconta una storia ben
diversa. La campagna EPDA Move for Change ha rivelato che, in
generale, le PCP non ricevono ancora un servizio di qualità
al momento della diagnosi. Come possiamo affrontare questo problema?
La risposta si trova nelle risorse.
I commissari europei devono riconoscere che abbiamo bisogno di
strutture che consentano questo approccio multidisciplinare per
la gestione del Parkinson (e di altre malattie) in ogni paese
europeo. Ritengo che gli enti di volontariato organizzazioni
di pazienti, ONG [organizzazioni non governative], etc.
abbiano un ruolo importante nellevidenziare lesigenza
di cambiamento in aree nelle quali questo potrebbe essere spazzato
via dalla furia di economizzare sulla spesa sanitaria. Sappiamo
qual è la via
migliore tutte le prove che ho descritto ce lo dicono
ma in qualche modo tutto ciò sfugge
allattenzione accademica, mentre i commissari non sembrano
dare peso a queste informazioni.
Ci si lamenta che un team multidisciplinare è troppo costoso;
non lo è se si ha la struttura adatta a disposizione.
Il Regno Unito ha cominciato con un team molto vantaggioso in
termini di costo, usando terapisti già esistenti, modellato
nella forma di un servizio specialistico. Ma si è dimostrato
comunque
molto efficace, provando che non tutto dipende dal denao. Naturalmente,
non esiste un unico sistema infallibile e ciascuna comunità
deve considerare i propri punti di forza e di debolezza e progettare
il proprio servizio attorno a quanto esiste già. Non si
tratta di dire fai in questo modo. È più
importante che i principi siano applicati piuttosto che copiare
altre strutture. LEuropa deve trovare la sua via, ma devono
esserci volontà e consapevolezza.
Credevo che il vento stesse cambiando a favore del paziente,
ma poi ho letto con cosa le PCP in Europa devono combattere.
Cè ancora molta strada da fare per arrivare ad un
miglioramento. Sono consapevole che alcune delle mie osservazioni
possono sembrare scandalose, ma devono esserlo.
Cè ancora un bisogno non soddisfatto ed è
un bisogno che deve essere soddisfatto in modi economicamente
fattibili per poter dare alle PCP una buona qualità
di vita.
Lo so, è un compito difficile. Ma il compito è
molto più pesante se nessuno presta attenzione a quanto
sappiamo già.
Il Prof. Leslie J Findley è consulente neurologo presso
il Queens Hospital, Essex, Regno Unito, e docente di Scienze
della Salute (Neurologia) presso la London University South Bank,
Regno Unito.
Una risposta da parte del Presidente dell'EPDA Knut-Johan
Onarheim
Il Prof. Findley propone alcuni eccellenti argomenti che
non possono essere contestati. Non cè alcun dubbio
che le ricerche passate sulla qualità abbiano dimostrato
come la comunicazione della diagnosi sia fondamentale per il
benessere delle persone che convivono con una malattia cronica.
È altrettanto vero che questa prova non è stata
usata o sostenuta in modo efficiente come si sarebbe dovuto fare
in tutta Europa.
Sappiamo che ci sono molte ragioni per questo i
professionisti sanitari hanno ancora bisogno di una preparazione
migliore, i sistemi sanitari devono ancora essere riorganizzati
in modo appropriato, il tempo da dedicare alla visita dei paziente
è stato notevolmente ridotto. E lelenco può
continuare.
Ma rimane il fatto che dobbiamo occuparci della situazione
che ci troviamo ad affrontare oggi. Il Prof. Findley dice che
i commissari non sembrano dare peso alle informazioni,
ma noi dellEPDA siamo
determinati a cambiare il loro atteggiamento facendo tesoro dei
dati del passato e integrandoli con i risultati della campagna
Move for Change.
La voce del paziente è oggi molto più forte
di 25 anni fa.
Intendiamo approfittare di questa opportunità per assicurare
che il Parkinson diventi una priorità per i legislatori
sia a livello nazionale che europeo. Le PCP e le loro famiglie
non possono permettersi di
stare ad ascoltare questo dibattito per altri 25 anni.
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