Risponde lo specialista .....
A cura del prof. Tommaso Caraceni

 

" Premetto che ho 52 anni e un Parkinson non particolarmente benevolo da sedici; sono stato operato tre anni e mezzo fa (impianto di neurostimolazione del pallido) e oggi ho la netta sensazione che la malattia progredisca più lentamente che negli anni precedenti all'intervento, tantè che a tutt'oggi il voltaggio è invariato e anche la terapia è stato aumentata di pochissimo.
E' possibile e come si spiega? Inoltre l'intervento mi ha quasi cambiato il carattere rendendomi molto meno nervoso e reattivo di quanto non sia stato in tutta la mia vita. Da cosa dipende?
"

La risposta al primo quesito va un po' articolata. In primo luogo non è infrequente nella malattia di Parkinson la possibilità di osservare o di constatare un periodo alquanto lungo, anche di due tre anni, durante il quale la condizione motoria rimane sostanzialmente immodificata, per cui anche il trattamento farmacologico non necessita di nessun mutamento o di assai piccoli aggiustamenti. Questo comportamento può far pensare che la malattia si sia arrestata, anche se il processo morboso segue il suo normale decorso lentamente peggiorativo. Questa potrebbe essere una prima interpretazione.
Una seconda risposta ed interpretazione, che è però dei tutto ipotetica, potrebbe essere che la stimolazione bilaterale dei pallido agisca in realtà attraverso un meccanismo neuroprotettivo, rallentando il decorso della malattia. Questa ipotesi necessita però di conferme scientifiche e di ulteriori studi clinici. Per quanto concerne il mutamento dei carattere è possibile che la stimolazione dei pallido interno, che determina un blocco dell'attività funzionale dello stesso pallido, sia la causa di un atteggiamento più remissivo ed inerte, infatti vi sono osservazioni di lesioni anatomiche del pallido interno, determinate ad esempio da una alterazione vascolare, che inducono una condizione di grave perdita degli interessi.

" Da qualche tempo non riesco a prendere sonno perché sono tormentato da una dolorosa impossibilità di tenere ferme le gambe.
Si tratta della cosiddetta "sindrome delle gambe senza riposo"? E cosa si può fare?
"

E' probabile che si tratti della sindrome delle gambe senza riposo, un tempo si usava il termine di acatisia per definire questo disturbo nel soggetto parkinsoniano. Ad ogni modo questa sindrome è abbastanza frequente nei soggetti anziani, all'incirca nel 10%. I pazienti che ne sono colpiti avvertono una sensazione spiacevole alle gambe, quando sono inattive, in particolare nella parte finale della giornata e soprattutto quando sono a letto, che può regredire in modo temporaneo dopo avere volontariamente mosso le gambe.
Questa spiacevole sensazione compare quando si è fermi, in particolare da seduti o a letto e viene descritta spesso come una sensazione di calore urente, o di formicolio.
Le persone sofferenti per la sindrome delle gambe senza riposo hanno inoltre e spesso insonnia, un sonno frammentato, astenia diurna e difficoltà a svolgere attività sedentarie.
In alcuni casi può essere utile uno studio polisonnografico.
Le medicine più utili sono i dopaminoagonisti (ropinirolo, pergolide ecc.) che vanno somministrati prima di coricarsi a basso dosaggio.

" Sono una donna di 58 anni e ho il Parkinson da circa 15. Le scrivo per un disturbo non particolarmente frequente (fino ad oggi, solo una o due volte all'anno) ma fastidioso, che si manifestò la prima volta 5 o 6 anni prima del Parkinson e sul quale però nessuno dei molti medici che mi hanno visitato ha mai saputo pronunciarsi. Iniziò all'improvviso con una "macchia" nella visione, generalmente sulla destra. Non intendo dire con ciò che vedo una macchia, piuttosto, c'è una zona del mio campo visivo che è cieca. Poco dopo al posto della "macchia" compare, sia che tenga gli occhi aperti o chiusi, uno "zig-zag" luminoso dal colore brillante. A questo punto ho imparato a mie spese che devo sdraiarmi immediatamente e mangiare 3 o 4 cucchiaini di zucchero. Dopo una mezz'ora torno a posto. Se invece non mi sdraio e non mangio, il disturbo continuo aggravandosi sempre più e subentra dislalia (si dice così?). Ad esempio io penso "tavolo" ma dico "talovo" oppure anche quando le parole sono corrette io non le riconosco più nel senso che so che quella cosa a quattro gambe normalmente si dice tavolo ma non ne sono affatto sicura, pur non subentrando con ciò alcuno stato confusionale. Comunque sia lo stadio finale dei processo se non corro ai ripari prima sdraiandomi subito senza cuscino e mangiando zucchero è un forte mai di testa seguito da vomito.
Vorrei sapere, dopo tutti questi anni, di che cosa può trattarsi, se c'è una correlazione con il Parkinson e se esiste una cura meno empirica di quella inventata, d'istinto, da me. Mi scuso per la lunghezza ma ho dovuto spiegare tutto.
"

Il disturbo da lei accusato è quello tipico di una particolare forma di emicrania: "l'emicrania accompagnata". Viene definita accompagnata proprio perché la cefalea si accompagna ad altri sintomi, in questo caso, a turbe visive e dei linguaggio, che precedono di 10-30 minuti la comparsa della sintomatologia dolorosa.
Quando la sintomatologia è sempre la stessa e cioè il campo visivo viene interessato sempre dallo stesso lato, il destro, e le turbe dei linguaggio sono sempre presenti, è necessario escludere una causa lesionale endocranica, come ad esempio una malformazione vascolare, un angioma, anche se questo è un evento assai raro. A tal fine sarà bene eseguire una RMN dell'encefalo. Non vi sono rapporti con la malattia di Parkinson.
E per quanto concerne la terapia, una volta esclusa una patologia endocranica, si può ricorrere all'uso dei triptani che vanno assunti all'inizio della sintomatologia. Per modalità di somministrazione è opportuno sentire comunque lo specialista neurologo.

Parkinson Italia News n.2002-1