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Nuove terapie e qualità
della vita. di Mariapaola Salmi (5 aprile 2007) |
Le associazioni dei malati e i
medici, l'11 di aprile ricordano il morbo di Parkinson a tutto
il mondo. "Ma questa malattia c'è sempre, bisogna
pensarci tutto l'anno per migliorare la qualità di vita
dei pazienti". Forte il messaggio della World Parkinson
Disease Association che con iniziative mirate al vivere quotidiano
del malato e dei familiari celebra la Giornata ovunque perché
ad ogni latitudine, unica eccezione l'Asia dove l'incidenza è
minore, il morbo di Parkinson è ugualmente diffuso: i
cosiddetti "parkinsonismi" colpiscono 3,5 persone su
mille, il Parkinson puro 2,5 persone su mille. Un po' di più
i maschi (60%) di razza bianca rispetto alle femmine (40%). Medesima
l'età d'insorgenza tra i 50 e i 60 anni anche se i neurologi
cominciano a notare una anticipazione dell'età di esordio
verso i 40 anni. Malattia cronica progressiva, il Parkinson che solo fino a trenta, venti anni fa era incurabile, è stata invece la prima delle patologie neurodegenerative ad essere studiata e trattata con successo. A quasi duecento anni dal trattato di James Parkinson che nel 1817 la etichetta "Paralisi agitante" e dal primo farmaco, alcaloide hyoscina, messo a punto nel 1867, tutto quello che si conosce della malattia e delle forme che le assomigliano, è stato fatto nell'ultimo decennio ed è in frenetico e positivo cambiamento. "Fino agli anni Ottanta si riteneva che la malattia non fosse trasmissibile geneticamente", afferma Gianni Pezzoli, direttore U.O. di neurologia Centro Parkinson degli Istituti clinici di perfezionamento a Milano, "invece con la Pet si trovò una proteina, la alfasinucleina, che per un'alterazione genetica si accumula nei neuroni di aree cerebrali profonde (striato, nuclei della base) e forma i "corpi di Levy" che soffocano e portano a morte le cellule produttrici del neurotrasmettitore dopamina che controlla il movimento. Fu studiata un'intera famiglia, i Contursi. Si cambiò idea". Oggi si sa che la malattia di Parkinson e i cosiddetti Parkinsonismi, primo tra tutti la demenza da corpi di Levy seconda solo all'Alzheimer, sono dovuti in parte (20-25%) ad una predisposizione genetica sulla quale gioca in maniera ben più importante (60%) l'esposizione a certi fattori ambientali quali idrocarburi, pesticidi, insetticidi, solventi. La seconda, importante svolta è stata la riclassificazione di malattie somiglianti al Parkinson in relazione a una serie di proteine con alterati metabolismi. Il terzo, fondamentale tassello ha riguardato l'approccio al malato e lo sviluppo di tante molecole che hanno aperto la strada ad un migliore controllo dei sintomi ma anche a numerosi problemi che insorgono dopo anni di cure, quando il paziente non risponde e le terapie diventano molto complesse. In Italia 150.000 persone sono affette da Parkinson, 200.000 da tutti gli altri Parkinsonismi. Da alcuni anni i malati si trattano. I sintomi principali sono corretti molto bene nei primi cinque anni, abbastanza bene nei secondi cinque anni e discretamente nei successivi cinque. "Tuttavia la malattia prosegue, non abbiamo strumenti per bloccarla", dice Pezzoli, "attorno al 10 anno la qualità di vita del malato si riduce in maniera quasi inevitabile. Dopo il 14 anno si ricorre all'impianto di stimolatori, se il paziente non ha superato i 70 anni, che modulano le fluttuazioni motorie". L'obiettivo di ricercatori e neurologi però è curare con le terapie più semplici. L'assistenza invece almeno in Italia è assicurata non solo dal Servizio sanitario nazionale e dai Centri dedicati al Parkinson ma dalle famiglie. "In nessun altro Paese ci si prende cura del paziente come da noi, il parente coinvolto di solito è il coniuge al quale" conclude Pezzoli, "raccomandiamo sempre di reagire positivamente e di non trascurare se stesso". Copyright La Repubblica. Questo testo era pubblicato su Internet nella pagina http://www.repubblica.it/supplementi/salute/2007/04/05/medicinapratica/013par53013.html, del 5 aprile 2007, ora non più disponibile in linea. |