È ora di assumere il controllo.
Di Jens Volkmann
Da: EPDAPLUS Estate 2010 - num. 14
(www.epda.eu.com)
This article has been provided with the kind permission of the European Parkinson’s Disease Association.
Questo articolo è pubblicato con il cortese permesso dell'EPDA (European Parkinsons's Disease Association).


"Il compito del neurologo è di escludere le terapie potenzialmente nocive"

Gli studi clinici supportano in modo crescente i moderni trattamenti rispetto alle alternative tradizionali, ma per le persone con Parkinson diventa sempre più difficile tenere il passo con gli ultimi progressi della scienza. Per questo il Professor Jens Volkmann consiglia di rivolgersi direttamente al neurologo per trovare insieme la terapia migliore da seguire

I risultati dello studio clinico PD Surg - che ha messo a confronto il miglior trattamento medico e la chirurgia di stimolazione cerebrale profonda (DBS) in 366 persone con Parkinson (PCP) - hanno fatto molto discutere dopo la loro recente pubblicazione nel Lancet Neurology dello scorso giugno.
È il terzo studio di questo tipo a "dimostrare" che la DBS è più efficace rispetto alla migliore gestione medica nel ridurre le fluttuazioni motorie e la discinesia, nell'estendere la durata giornaliera del periodo 'on' e nel migliorare la qualità della vita.
È probabile che questa terza conferma consecutiva della superiorità della DBS introduca presto cambiamenti nelle linee guida per il trattamento delle complicanze motorie indotte dai farmaci nel Parkinson. La terapia chirurgica sarà raccomandata come trattamento di prima linea basato sull'evidenza per le PCP affette da queste condizioni. Possiamo dunque aspettarci che, in futuro, tutte le PCP con fluttuazioni motorie o discinesia dovranno sottoporsi a intervento chirurgico? Certamente no. Le decisioni di trattamento nelle PCP dovranno basarsi sulle necessità mediche e psico-sociali di ciascuno.
Da una parte, studi come il PD Surg aiutano a valutare il profilo rischio/beneficio delle terapie in situazioni cliniche ben definite e possono portare alla loro accettazione come standard terapeutico da parte dei medici e degli operatori sanitari. Dall'altra, la moderna neurologia offre molte altre opzioni di trattamento per il Parkinson, tra cui formulazioni migliorate di farmaci da assumere per via orale o mediante cerotti e infusioni. Si tratta certo di una questione di non facile risoluzione.

UN APPROCCIO SINTOMATICO

Naturalmente né la BBS né le terapie mediche ottimizzate sono in grado di curare il Parkinson. Piuttosto, il loro obiettivo è di migliorare le attività quotidiane e la qualità della vita ottenendo il miglior controllo possibile dei sintomi motori. Di conseguenza, i possibili vantaggi devono essere soppesati rispetto ai rischi sulla base della condizione di salute generale della persona con Parkinson.
Le attuali politiche sanitarie incoraggiano la partecipazione del paziente alle decisioni di trattamento. A mio parere, questo consiglio riguarda in particolare la scelta delle terapie nel Parkinson avanzato. Come neurologo, ritengo di dovere fungere da moderatore, il cui compito è di spiegare alla PCP perché, in base alla sua anamnesi o ai risultati degli esami clinici, una particolare terapia non è adatta al suo caso. (Per esempio, una PCP con fluttuazioni motorie che manifesta una reazione psicotica ai dosaggi bassi di agonisti dopaminergici non dovrebbe impiegare la pompa per infusione di apomorfina).
Dopo avere selezionato un certo numero di opzioni terapeutiche si passa al difficile compito di decidere quale di queste può essere più adatta al caso particolare. A tal fine, è essenziale individuare quali sintomi comportano i problemi maggiori per la persona e quali sono gli obiettivi di trattamento individuali ai vari livelli di funzionamento della PCP.
È importante notare che la gravità di certi sintomi non determina la necessità di istituire trattamenti avanzati; ciò che conta è piuttosto l'impatto che questi sintomi hanno sul funzionamento quotidiano - sociale o professionale - di una PCP. Un parkinsoniano di 40 anni nel bel mezzo della sua carriera professionale può non essere in grado di convivere con fluttuazioni motorie anche lievi, mentre un pensionato può riuscire a strutturare la sua giornata tenendo conto dei periodi 'off' e pertanto non richiedere trattamenti invasivi.
I sintomi non motori svolgono un altro ruolo importante nella valutazione della PCP in quanto hanno un impatto spesso maggiore rispetto alla disabilità motoria. Se una PCP è afflitta da disabilità indotte dal tremore, la sua probabilità di migliorare con la DBS è notevolmente superiore rispetto alla somministrazione di farmaci per infusione. Se, d'altro canto, una PCP soffre di disturbi d'ansia con attacchi di panico ed è spaventata all'idea di sottoporsi a un intervento al cervello, la terapia con infusione può rappresentare la scelta migliore.

UN APPROCCIO OBSOLETO

Purtroppo, le conoscenze sui trattamenti avanzati per il Parkinson - e il processo di selezione illustrato sopra - trovano ancora un riscontro limitato nel mondo della neurologia generale. Di conseguenza, molte PCP restano escluse dalle terapie che potrebbero migliorare la loro qualità di vita. Un altro problema riguarda la percezione obsoleta che le terapie avanzate, come la DBS o le pompe somministratrici, debbano essere considerate solo come trattamenti di ultima istanza.
Di conseguenza, incoraggerei le PCP a informarsi da sole e quanto prima sul possibile decorso della loro malattia e sulle opzioni di trattamento disponibili. Se il Parkinson rende la vita troppo difficile, è bene parlarne con il proprio neurologo. È importante chiedere se esistono modi migliori di controllare i sintomi e farsi spiegare perché si opta per una particolare strategia. Il compito del neurologo è di escludere le terapie potenzialmente nocive, non di dissuadere la persona dal partecipare alla scelta delle opzioni disponibili.

Jens Volkmann è professore associato di neurologia presso la Kiel University e presidente di neurologia presso l'Università di Würzburg, Germania.

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