"Il compito del neurologo
è di escludere le terapie potenzialmente nocive"
Gli studi clinici supportano
in modo crescente i moderni trattamenti rispetto alle alternative
tradizionali, ma per le persone con Parkinson diventa sempre
più difficile tenere il passo con gli ultimi progressi
della scienza. Per questo il Professor Jens Volkmann consiglia
di rivolgersi direttamente al neurologo per trovare insieme la
terapia migliore da seguire
I risultati dello studio clinico PD Surg - che ha messo a confronto
il miglior trattamento medico e la chirurgia di stimolazione
cerebrale profonda (DBS) in 366 persone con Parkinson (PCP) -
hanno fatto molto discutere dopo la loro recente pubblicazione
nel Lancet Neurology dello scorso giugno.
È il terzo studio di questo tipo a "dimostrare"
che la DBS è più efficace rispetto alla migliore
gestione medica nel ridurre le fluttuazioni motorie e la discinesia,
nell'estendere la durata giornaliera del periodo 'on' e nel migliorare
la qualità della vita.
È probabile che questa terza conferma consecutiva della
superiorità della DBS introduca presto cambiamenti nelle
linee guida per il trattamento delle complicanze motorie indotte
dai farmaci nel Parkinson. La terapia chirurgica sarà
raccomandata come trattamento di prima linea basato sull'evidenza
per le PCP affette da queste condizioni. Possiamo dunque aspettarci
che, in futuro, tutte le PCP con fluttuazioni motorie o discinesia
dovranno sottoporsi a intervento chirurgico? Certamente no. Le
decisioni di trattamento nelle PCP dovranno basarsi sulle necessità
mediche e psico-sociali di ciascuno.
Da una parte, studi come il PD Surg aiutano a valutare il profilo
rischio/beneficio delle terapie in situazioni cliniche ben definite
e possono portare alla loro accettazione come standard terapeutico
da parte dei medici e degli operatori sanitari. Dall'altra, la
moderna neurologia offre molte altre opzioni di trattamento per
il Parkinson, tra cui formulazioni migliorate di farmaci da assumere
per via orale o mediante cerotti e infusioni. Si tratta certo
di una questione di non facile risoluzione.
UN APPROCCIO SINTOMATICO
Naturalmente né la BBS
né le terapie mediche ottimizzate sono in grado di curare
il Parkinson. Piuttosto, il loro obiettivo è di migliorare
le attività quotidiane e la qualità della vita
ottenendo il miglior controllo possibile dei sintomi motori.
Di conseguenza, i possibili vantaggi devono essere soppesati
rispetto ai rischi sulla base della condizione di salute generale
della persona con Parkinson.
Le attuali politiche sanitarie incoraggiano la partecipazione
del paziente alle decisioni di trattamento. A mio parere, questo
consiglio riguarda in particolare la scelta delle terapie nel
Parkinson avanzato. Come neurologo, ritengo di dovere fungere
da moderatore, il cui compito è di spiegare alla PCP perché,
in base alla sua anamnesi o ai risultati degli esami clinici,
una particolare terapia non è adatta al suo caso. (Per
esempio, una PCP con fluttuazioni motorie che manifesta una reazione
psicotica ai dosaggi bassi di agonisti dopaminergici non dovrebbe
impiegare la pompa per infusione di apomorfina).
Dopo avere selezionato un certo numero di opzioni terapeutiche
si passa al difficile compito di decidere quale di queste può
essere più adatta al caso particolare. A tal fine, è
essenziale individuare quali sintomi comportano i problemi maggiori
per la persona e quali sono gli obiettivi di trattamento individuali
ai vari livelli di funzionamento della PCP.
È importante notare che la gravità di certi sintomi
non determina la necessità di istituire trattamenti avanzati;
ciò che conta è piuttosto l'impatto che questi
sintomi hanno sul funzionamento quotidiano - sociale o professionale
- di una PCP. Un parkinsoniano di 40 anni nel bel mezzo della
sua carriera professionale può non essere in grado di
convivere con fluttuazioni motorie anche lievi, mentre un pensionato
può riuscire a strutturare la sua giornata tenendo conto
dei periodi 'off' e pertanto non richiedere trattamenti invasivi.
I sintomi non motori svolgono un altro ruolo importante nella
valutazione della PCP in quanto hanno un impatto spesso maggiore
rispetto alla disabilità motoria. Se una PCP è
afflitta da disabilità indotte dal tremore, la sua probabilità
di migliorare con la DBS è notevolmente superiore rispetto
alla somministrazione di farmaci per infusione. Se, d'altro canto,
una PCP soffre di disturbi d'ansia con attacchi di panico ed
è spaventata all'idea di sottoporsi a un intervento al
cervello, la terapia con infusione può rappresentare la
scelta migliore.
UN APPROCCIO OBSOLETO
Purtroppo, le conoscenze sui
trattamenti avanzati per il Parkinson - e il processo di selezione
illustrato sopra - trovano ancora un riscontro limitato nel mondo
della neurologia generale. Di conseguenza, molte PCP restano
escluse dalle terapie che potrebbero migliorare la loro qualità
di vita. Un altro problema riguarda la percezione obsoleta che
le terapie avanzate, come la DBS o le pompe somministratrici,
debbano essere considerate solo come trattamenti di ultima istanza.
Di conseguenza, incoraggerei le PCP a informarsi da sole e quanto
prima sul possibile decorso della loro malattia e sulle opzioni
di trattamento disponibili. Se il Parkinson rende la vita troppo
difficile, è bene parlarne con il proprio neurologo. È
importante chiedere se esistono modi migliori di controllare
i sintomi e farsi spiegare perché si opta per una particolare
strategia. Il compito del neurologo è di escludere le
terapie potenzialmente nocive, non di dissuadere la persona dal
partecipare alla scelta delle opzioni disponibili.
Jens Volkmann è professore
associato di neurologia presso la Kiel University e presidente
di neurologia presso l'Università di Würzburg, Germania.
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