La maggior parte degli esperti
di Parkinson concordano sul fatto che una gestione precoce della
malattia è essenziale per la qualità di vita del
paziente. Tuttavia, le prove suggeriscono che troppe persone
con Parkinson ricevono livelli di cura inaccettabili da parte
di medici disinteressati. EPDA Plus parla con due importanti
neurologi europei i quali ci dicono con fermezza quali servizi
i medici diagnostici per il Parkinson dovrebbero - e non dovrebbero
- fornire ai loro pazienti.
Leslie Findley
"L'idea di un unico medico assiso nella sua torre d'avorio,
che dispensa diagnosi e lascia che le PCP provvedano a se stesse
non ha un grande valore"
Nell'ultimo numero di EPDA Plus, ho espresso le mie preoccupazioni
sui risultati della prima inchiesta EPDA Move for Change [scaricabile
all'indirizzo www.epda.eu.com/projects/move-for-change/move-for-change-part-i-final-report].
L'inchiesta ha confermato che in Europa troppe persone con Parkinson
(PCP) non vengono necessariamente indirizzate a medici con uno
speciale interesse per questa malattia. Inoltre, veniva evidenziato
come a molti pazienti non sia dedicato abbastanza tempo di qualità
per ricevere una diagnosi accurata. Chiaramente molti medici/neurologi
non si rendono conto che tanto l'accuratezza quanto il tempo
nel fornire la diagnosi influenzano il procedere e il futuro
del benessere della persona interessata nel resto del suo viaggio
con la malattia.
In sintesi, nell'ultimo numero ho dato una breve lezione di storia
sulla ricerche intraprese dagli anni '70 ad oggi - passando per
i progetti Oxtoby e Romford fino al Global Parkinson's Disease
Survey per arrivare da ultimo all'attuale inchiesta Move for
Change. Ho sostenuto inoltre che stavamo ripercorrendo sempre
gli stessi passi e che molti dei disturbi delle PCP sono già
noti e che ci sono tante prove su quanto sia necessario per un'adeguata
assistenza alle persone con parkinsonismo. In questo articolo
vorrei esprimere il mio pensiero su ciò che ritengo essere
una parte fondamentale di questo problema ricorrente - il ruolo
degli stessi medici diagnostici.
'TROVATE LA VOSTRA VIA'
Negli ultimi mesi ho avuto modo di osservare nel Regno Unito
un certo numero di medici diagnosticare PCP semplicemente comunicando
loro la diagnosi e prescrivendo dei farmaci e, in termini di
spiegazione, limitandosi a dire che "avrebbero scritto"
al loro medico di famiglia. Per le PCP, tale processo diagnostico
- uno degli eventi più importanti della loro vita - si
limitava a tre minuti del tempo del medico e all'indicazione
implicita di dover "trovare da soli la loro via". Credo
che siamo tutti d'accordo sul fatto che questo non rappresenti
il miglior modello per occuparsi di persone con complessi disturbi
cronici come il parkinsonismo.
I medici stessi - in qualità di diagnostici - devono essere
sensibilizzati in merito alle loro responsabilità. Essi
sono dei consulenti fondamentali all'inizio di questo processo
o "percorso". Dovrebbero impostare il tono della comunicazione,
ispirare fiducia, rassicurare ed essere disponibili in futuro
o quando dovessero insorgere complicazioni. A meno che il medico
non sia disponibile a fare questo sforzo dall'inizio, l'unica
persona destinata a soffrire sarà la PCP. Il neurologo
con i paraocchi che considera il suo lavoro terminato una volta
fatta la diagnosi non è quel professionista amico di cui
la PCP ha bisogno.
Credo anche che siamo tutti d'accordo sul fatto che l'idea di
un unico medico/neurologo assiso nel suo ambulatorio che dispensa
diagnosi e lascia che le PCP provvedano a se stesse non abbia
un grande valore. Inoltre, indirizzare una PCP su internet, con
le sue troppe informazioni non convalidate e superficiali, può
generare confusione e/o paura. Lo specialista deve aiutare la
PCP ad accedere al team multidisciplinare di professionisti che
sono i soggetti più competenti per cogliere olisticamente
la miriade di problemi correlati al Parkinson che possono insorgere.
In altre parole, lo specialista deve essere consapevole dei suoi
punti di forza e delle sue debolezze ed essere sufficientemente
umile da riconoscere ed accettare le competenze di altri nell'assistere
la PCP nel suo percorso.
MODERNIZZIAMOCI
Dopo aver espresso le mie critiche ai colleghi, devo ammettere
che c'è una crescente consapevolezza tra alcuni neurologi,
in particolare tra gli specialisti più giovani - molti
dei quali hanno ricevuto una preparazione più ampia e
comprendono maggiormente le diverse esigenze dei pazienti. Tuttavia,
per quanto sorprendente possa essere, in Europa sembra esserci
un gran numero di neurologi di vecchio stampo ancora praticanti,
e le prove di Move for Change supportano questa affermazione.
Ma piuttosto che ricorrere a una persona sbagliata, credo sarebbe
meglio che i medici dotati di una naturale affinità con
l'essere coinvolti nel fornire un'assistenza olistica si muovano
in quella direzione e si presentino ai gruppi di pazienti.
Nel frattempo, gli altri specialisti, che preferiscono vivere
nella loro torre d'avorio e dedicare il loro tempo a partecipare
ai numerosi congressi intorno al mondo, dovrebbero dedicarsi
a tale attività. Si è sempre creduto che se si
è un accademico di successo nel campo della neurologia,
si è naturalmente anche un "buon medico". Tuttavia,
la verità è che, per quanto molti accademici siano
anche degli ottimi medici, altri dovrebbero evitare di svolgere
attività professionali che coinvolgono pazienti - specialmente
PCP.
Il fatto che, durante il processo diagnostico, una PCP non riceva
adeguate informazioni o non le sia dedicato il tempo necessario
a ricevere tali informazioni dovrebbe essere considerato una
pratica anomala. Ho trovato che molte delle prove di Move for
Change siano indicative di negligenza clinica e questo non può
essere tollerato.
Una diagnosi accurata, accessibile e precoce - collegata ad un'adeguata
gestione da parte di un team multidisciplinare dall'inizio del
processo fino alla fine - è l'unica via per andare avanti.
Come professionisti sanitari, il nostro obiettivo deve essere
sempre quello di garantire alle PCP la migliore qualità
di vita possibile e la certezza di essere gestiti in modo appropriato
- indipendentemente da quale parte dell'Europa provengano.
Concludo dicendo che, quando ho iniziato a fare ricerche sull'importanza
della diagnosi e della gestione precoce del parkinsonismo ho
scoperto in tutto ciò un processo di apprendimento - anche
se inizialmente non mi ero reso conto di avere ancora molto da
imparare! Sono sicuro che lo stesso vale per molti altri medici:
essi possono ritenere che la loro preparazione sia completa,
ma devono imparare - e farlo rapidamente - che ogni PCP è
un potenziale insegnante.
Il Prof. Leslie J Findley è consulente neurologo presso
il Queen's Hospital, Essex, Regno Unito, e docente di Scienze
della Salute (Neurologia) presso la London University South Bank,
Regno Unito.
Bastiaan Bloem
"Volevo che il pubblico fosse testimone di un cambiamento:
un medico che una volta era un "dio" scende dalla sua
torre d'avorio per diventare un insegnante e un partner alla
pari"
Recentemente ho tenuto una presentazione davanti a operatori
sanitari, pazienti e politici, a Maastricht nei Paesi Bassi.
La presentazione era intitolata 'Da Dio a Guida' e invitava i
medici di tutta Europa ad abbracciare il concetto di "salute
partecipativa per tutti". La mia idea era semplice. Volevo
comunicare ai miei colleghi che ritengo sia arrivato il momento
che i medici "escano dalle loro torri d'avorio" e diventino
una guida (o un coach) nella vita dei loro pazienti.
La presentazione è cominciata con me - nel ruolo del medico
tradizionale - che venivo sollevato a una grande altezza (usando
un carrello elevatore e accompagnato da un canto di angeli e
da un fascio di luce) e che parlavo a un paziente appena diagnosticato,
Hans, dall'alto della mia "torre". Dopo una breve e
disinteressata discussione sui sintomi di Hans, gli ho lanciato
dall'alto una prescrizione caduta fiaccamente sul pavimento.
"La prego, mi deve prendere seriamente," ha esclamato
Hans. "Questa diagnosi è una notizia terribile. Cambierà
completamente la mia vita. Voglio informazioni valide ed affidabili.
E voglio essere parte della decisione se cominciare dei trattamenti
o meno. Dove posso trovare altri pazienti come me? Cosa posso
fare per migliorare le cose?" Quindi, ha fatto una pausa,
sconsolato. "Questo tipo di assistenza non è il motivo
per il quale è diventato un dottore?"
Si è quindi allontanato da solo e ha premuto un grande
pulsante rosso di reset. Immediatamente, la luce si è
spenta, gli angeli hanno smesso di cantare e il mio carrello
elevatore si è abbassato arrivando fino a terra. Ho abbandonato
il carrello elevatore, mi sono tolto il camice bianco (nella
realtà non indosso mai il camice bianco!) e ho posato
la mano sulla spalla di Hans.
NUOVO MONDO CORAGGIOSO
Questa è stata la prima parte della conversazione. Il
prosieguo è stata una discussione nel nuovo "mondo"
che Hans aveva creato con il suo gesto, un mondo privo di qualsiasi
"gerarchia" tra paziente e medico.
Ho cominciato facendogli vedere un filmato che mostrava il potere
che hanno i pazienti di compensare la loro malattia. Un uomo
in uno stato avanzato del Parkinson e con gravi difficoltà
di deambulazione mi diceva di essere ancora in grado di andare
in bicicletta senza problemi. Ero sorpreso da tale pretesa e
l'ho portato all'esterno per verificarla. Pensavo fosse impossibile
e mi meravigliavo di vederlo tenere perfettamente sotto controllo
il Parkinson e i pedali. Era la prova evidente che anche se i
pazienti presentano gravi difficoltà, spesso hanno anche
notevoli capacità.
Da allora ho ricevuto centinaia di lettere ed e-mail da pazienti
di tutto il mondo che, allo stesso modo, riportano di avere notevoli
capacità a compensazione della loro malattia. E la parte
più importante di tutto ciò è che essi conoscevano
la verità sin dal principio. Siamo noi - i medici - che
non conosciamo la verità, anche se ce l'abbiamo sotto
il naso tutto il tempo.
Volevo che il pubblico fosse testimone di un importante cambiamento
in pochi minuti: un medico che una volta era un "dio"
scende dalla sua torre d'avorio per diventare un insegnante e
un partner alla pari nel sistema sanitario. Volevo illustrare
un mondo nel quale medici e pazienti potessero lavorare insieme
su una base di reciprocità.
Non fraintendetemi comunque: non si tratta di un mondo nel quale
i pazienti spadroneggiano e comandano a bacchetta il loro medico
- una paura che hanno alcuni dei miei colleghi più conservatori.
La verità è che questo non è ciò
che vogliono i pazienti. Essi vogliono essere presi sul serio.
Vogliono avere un ruolo attivo nel processo di gestione della
loro stessa malattia.
UN APPROCCIO CENTRATO SUL CLIENTE
I medici che esitano ancora a fare questa transizione verso una
sanità partecipatoria, considerino le seguenti eccitanti
possibilità.
In primo luogo, cominciando a considerare i pazienti come "clienti"
inizieremo a portare il sistema sanitario a fare un importante
passo avanti. I pazienti possono diventare grandi fonti di ispirazione
- esattamente come il paziente del video con la bicicletta. Settimana
dopo settimana sono sorpreso dal potere che i miei pazienti mostrano
nel superare tutte le difficoltà che incontrano ogni giorno
della loro vita. Noi medici non sfruttiamo adeguatamente questo
potere. Troppi di noi continuano a vedere i pazienti come oggetti
passivi piuttosto che soggetti attivi che possono contribuire
alla loro stessa salute.
Impegnarci con i nostri pazienti può inoltre dimostrarsi
conveniente in termini di costi. Per esempio, solitamente i medici
dicono ai loro pazienti di tornare dopo un certo periodo di tempo,
diciamo tre mesi. Tuttavia, se le cose vanno male è troppo
tardi, mentre se le cose vanno bene è troppo presto. Un
interessante approccio alternativo è stato studiato in
un trial clinico randomizzato condotto su pazienti affetti da
malattia infiammatoria intestinale.(1)
In una parte dello studio, un medico tradizionale invitava i
pazienti a ritornare dopo pochi mesi. Nell'altra parte, per contro,
i pazienti erano lasciati liberi di tornare in qualunque momento
pensassero fosse quello giusto. E sapete cos'è successo?
Tornavano dal medico meno frequentemente. Il numero di mancati
ritorni è diminuito e i pazienti ritornavano sempre esattamente
in tempo perché erano loro a decidere quando farlo.
Questi sono soltanto alcuni esempi straordinari di come coinvolgere
i pazienti sia una soluzione semplice, tanto per migliorare la
qualità del trattamento quanto per ridurre i costi. È
una scelta semplice. Ho scelto il mio lavoro perché amo
la medicina e perché provo compassione per i miei pazienti.
Per me, considerare un paziente come un partner nel processo
medico è l'unico modo per progredire. E fare il medico
diventa molto più gradevole se i pazienti vengono trattati
come soggetti attivi.
Ho terminato la presentazione condividendo un biscotto della
fortuna con Hans (che è davvero un mio paziente). Il biscotto
diceva semplicemente: "Salute partecipatoria per tutti noi."
Spero che questo augurio diventi realtà molto presto.
Il Prof. Bastiaan Bloem è un consulente neurologo del
Radboud University Nijmegen Medical Centre nei Paesi Bassi. La
sua presentazione, sulla quale si basa questo articolo, può
essere vista su YouTube cercando "From God to Guide"
(Da Dio a Guida). Bloem è stato nominato a ottobre "eroe
sanitario nazionale per la centralità dei pazienti"
nel suo paese - i Paesi Bassi - principalmente per il suo lavoro
innovativo sul Parkinson.
(1) A Kennedy,
E Nelson, D Reeves, G Richardson, C Roberts, A Robinson, A Rogers,
M Sculpher e D Thompson. 'A randomised controlled trial to assess
the impact of a package comprising a patient-orientated, evidence-based
self-help guidebook and patient-centred consultations on disease
management and satisfaction in inflammatory bowel disease.' Health
Technol. Assess. 7 (28):iii, 1-iii113, 2003.
Originating
EPDA Plus issue on the EPDA website
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