'Guide non dei'
Da: EPDAPLUS Inverno 2012 - num. 18
Di Leslie Findley e Bastiaan Bloem
(
www.epda.eu.com)
This article has been provided with the kind permission of the European Parkinson’s Disease Association.
Questo articolo è pubblicato con il cortese permesso dell'EPDA (European Parkinsons's Disease Association).


La maggior parte degli esperti di Parkinson concordano sul fatto che una gestione precoce della malattia è essenziale per la qualità di vita del paziente. Tuttavia, le prove suggeriscono che troppe persone con Parkinson ricevono livelli di cura inaccettabili da parte di medici disinteressati. EPDA Plus parla con due importanti neurologi europei i quali ci dicono con fermezza quali servizi i medici diagnostici per il Parkinson dovrebbero - e non dovrebbero - fornire ai loro pazienti.

Leslie Findley

"L'idea di un unico medico assiso nella sua torre d'avorio, che dispensa diagnosi e lascia che le PCP provvedano a se stesse non ha un grande valore"

Nell'ultimo numero di EPDA Plus, ho espresso le mie preoccupazioni sui risultati della prima inchiesta EPDA Move for Change [scaricabile all'indirizzo www.epda.eu.com/projects/move-for-change/move-for-change-part-i-final-report]. L'inchiesta ha confermato che in Europa troppe persone con Parkinson (PCP) non vengono necessariamente indirizzate a medici con uno speciale interesse per questa malattia. Inoltre, veniva evidenziato come a molti pazienti non sia dedicato abbastanza tempo di qualità per ricevere una diagnosi accurata. Chiaramente molti medici/neurologi non si rendono conto che tanto l'accuratezza quanto il tempo nel fornire la diagnosi influenzano il procedere e il futuro del benessere della persona interessata nel resto del suo viaggio con la malattia.
In sintesi, nell'ultimo numero ho dato una breve lezione di storia sulla ricerche intraprese dagli anni '70 ad oggi - passando per i progetti Oxtoby e Romford fino al Global Parkinson's Disease Survey per arrivare da ultimo all'attuale inchiesta Move for Change. Ho sostenuto inoltre che stavamo ripercorrendo sempre gli stessi passi e che molti dei disturbi delle PCP sono già noti e che ci sono tante prove su quanto sia necessario per un'adeguata assistenza alle persone con parkinsonismo. In questo articolo vorrei esprimere il mio pensiero su ciò che ritengo essere una parte fondamentale di questo problema ricorrente - il ruolo degli stessi medici diagnostici.

'TROVATE LA VOSTRA VIA'
Negli ultimi mesi ho avuto modo di osservare nel Regno Unito un certo numero di medici diagnosticare PCP semplicemente comunicando loro la diagnosi e prescrivendo dei farmaci e, in termini di spiegazione, limitandosi a dire che "avrebbero scritto" al loro medico di famiglia. Per le PCP, tale processo diagnostico - uno degli eventi più importanti della loro vita - si limitava a tre minuti del tempo del medico e all'indicazione implicita di dover "trovare da soli la loro via". Credo che siamo tutti d'accordo sul fatto che questo non rappresenti il miglior modello per occuparsi di persone con complessi disturbi cronici come il parkinsonismo.
I medici stessi - in qualità di diagnostici - devono essere sensibilizzati in merito alle loro responsabilità. Essi sono dei consulenti fondamentali all'inizio di questo processo o "percorso". Dovrebbero impostare il tono della comunicazione, ispirare fiducia, rassicurare ed essere disponibili in futuro o quando dovessero insorgere complicazioni. A meno che il medico non sia disponibile a fare questo sforzo dall'inizio, l'unica persona destinata a soffrire sarà la PCP. Il neurologo con i paraocchi che considera il suo lavoro terminato una volta fatta la diagnosi non è quel professionista amico di cui la PCP ha bisogno.
Credo anche che siamo tutti d'accordo sul fatto che l'idea di un unico medico/neurologo assiso nel suo ambulatorio che dispensa diagnosi e lascia che le PCP provvedano a se stesse non abbia un grande valore. Inoltre, indirizzare una PCP su internet, con le sue troppe informazioni non convalidate e superficiali, può generare confusione e/o paura. Lo specialista deve aiutare la PCP ad accedere al team multidisciplinare di professionisti che sono i soggetti più competenti per cogliere olisticamente la miriade di problemi correlati al Parkinson che possono insorgere. In altre parole, lo specialista deve essere consapevole dei suoi punti di forza e delle sue debolezze ed essere sufficientemente umile da riconoscere ed accettare le competenze di altri nell'assistere la PCP nel suo percorso.

MODERNIZZIAMOCI
Dopo aver espresso le mie critiche ai colleghi, devo ammettere che c'è una crescente consapevolezza tra alcuni neurologi, in particolare tra gli specialisti più giovani - molti dei quali hanno ricevuto una preparazione più ampia e comprendono maggiormente le diverse esigenze dei pazienti. Tuttavia, per quanto sorprendente possa essere, in Europa sembra esserci un gran numero di neurologi di vecchio stampo ancora praticanti, e le prove di Move for Change supportano questa affermazione.
Ma piuttosto che ricorrere a una persona sbagliata, credo sarebbe meglio che i medici dotati di una naturale affinità con l'essere coinvolti nel fornire un'assistenza olistica si muovano in quella direzione e si presentino ai gruppi di pazienti.
Nel frattempo, gli altri specialisti, che preferiscono vivere nella loro torre d'avorio e dedicare il loro tempo a partecipare ai numerosi congressi intorno al mondo, dovrebbero dedicarsi a tale attività. Si è sempre creduto che se si è un accademico di successo nel campo della neurologia, si è naturalmente anche un "buon medico". Tuttavia, la verità è che, per quanto molti accademici siano anche degli ottimi medici, altri dovrebbero evitare di svolgere attività professionali che coinvolgono pazienti - specialmente PCP.
Il fatto che, durante il processo diagnostico, una PCP non riceva adeguate informazioni o non le sia dedicato il tempo necessario a ricevere tali informazioni dovrebbe essere considerato una pratica anomala. Ho trovato che molte delle prove di Move for Change siano indicative di negligenza clinica e questo non può essere tollerato.
Una diagnosi accurata, accessibile e precoce - collegata ad un'adeguata gestione da parte di un team multidisciplinare dall'inizio del processo fino alla fine - è l'unica via per andare avanti. Come professionisti sanitari, il nostro obiettivo deve essere sempre quello di garantire alle PCP la migliore qualità di vita possibile e la certezza di essere gestiti in modo appropriato - indipendentemente da quale parte dell'Europa provengano.
Concludo dicendo che, quando ho iniziato a fare ricerche sull'importanza della diagnosi e della gestione precoce del parkinsonismo ho scoperto in tutto ciò un processo di apprendimento - anche se inizialmente non mi ero reso conto di avere ancora molto da imparare! Sono sicuro che lo stesso vale per molti altri medici: essi possono ritenere che la loro preparazione sia completa, ma devono imparare - e farlo rapidamente - che ogni PCP è un potenziale insegnante.

Il Prof. Leslie J Findley è consulente neurologo presso il Queen's Hospital, Essex, Regno Unito, e docente di Scienze della Salute (Neurologia) presso la London University South Bank, Regno Unito.

Bastiaan Bloem

"Volevo che il pubblico fosse testimone di un cambiamento: un medico che una volta era un "dio" scende dalla sua torre d'avorio per diventare un insegnante e un partner alla pari"

Recentemente ho tenuto una presentazione davanti a operatori sanitari, pazienti e politici, a Maastricht nei Paesi Bassi. La presentazione era intitolata 'Da Dio a Guida' e invitava i medici di tutta Europa ad abbracciare il concetto di "salute partecipativa per tutti". La mia idea era semplice. Volevo comunicare ai miei colleghi che ritengo sia arrivato il momento che i medici "escano dalle loro torri d'avorio" e diventino una guida (o un coach) nella vita dei loro pazienti.
La presentazione è cominciata con me - nel ruolo del medico tradizionale - che venivo sollevato a una grande altezza (usando un carrello elevatore e accompagnato da un canto di angeli e da un fascio di luce) e che parlavo a un paziente appena diagnosticato, Hans, dall'alto della mia "torre". Dopo una breve e disinteressata discussione sui sintomi di Hans, gli ho lanciato dall'alto una prescrizione caduta fiaccamente sul pavimento.
"La prego, mi deve prendere seriamente," ha esclamato Hans. "Questa diagnosi è una notizia terribile. Cambierà completamente la mia vita. Voglio informazioni valide ed affidabili. E voglio essere parte della decisione se cominciare dei trattamenti o meno. Dove posso trovare altri pazienti come me? Cosa posso fare per migliorare le cose?" Quindi, ha fatto una pausa, sconsolato. "Questo tipo di assistenza non è il motivo per il quale è diventato un dottore?"
Si è quindi allontanato da solo e ha premuto un grande pulsante rosso di reset. Immediatamente, la luce si è spenta, gli angeli hanno smesso di cantare e il mio carrello elevatore si è abbassato arrivando fino a terra. Ho abbandonato il carrello elevatore, mi sono tolto il camice bianco (nella realtà non indosso mai il camice bianco!) e ho posato la mano sulla spalla di Hans.

NUOVO MONDO CORAGGIOSO
Questa è stata la prima parte della conversazione. Il prosieguo è stata una discussione nel nuovo "mondo" che Hans aveva creato con il suo gesto, un mondo privo di qualsiasi "gerarchia" tra paziente e medico.
Ho cominciato facendogli vedere un filmato che mostrava il potere che hanno i pazienti di compensare la loro malattia. Un uomo in uno stato avanzato del Parkinson e con gravi difficoltà di deambulazione mi diceva di essere ancora in grado di andare in bicicletta senza problemi. Ero sorpreso da tale pretesa e l'ho portato all'esterno per verificarla. Pensavo fosse impossibile e mi meravigliavo di vederlo tenere perfettamente sotto controllo il Parkinson e i pedali. Era la prova evidente che anche se i pazienti presentano gravi difficoltà, spesso hanno anche notevoli capacità.
Da allora ho ricevuto centinaia di lettere ed e-mail da pazienti di tutto il mondo che, allo stesso modo, riportano di avere notevoli capacità a compensazione della loro malattia. E la parte più importante di tutto ciò è che essi conoscevano la verità sin dal principio. Siamo noi - i medici - che non conosciamo la verità, anche se ce l'abbiamo sotto il naso tutto il tempo.
Volevo che il pubblico fosse testimone di un importante cambiamento in pochi minuti: un medico che una volta era un "dio" scende dalla sua torre d'avorio per diventare un insegnante e un partner alla pari nel sistema sanitario. Volevo illustrare un mondo nel quale medici e pazienti potessero lavorare insieme su una base di reciprocità.
Non fraintendetemi comunque: non si tratta di un mondo nel quale i pazienti spadroneggiano e comandano a bacchetta il loro medico - una paura che hanno alcuni dei miei colleghi più conservatori. La verità è che questo non è ciò che vogliono i pazienti. Essi vogliono essere presi sul serio. Vogliono avere un ruolo attivo nel processo di gestione della loro stessa malattia.

UN APPROCCIO CENTRATO SUL CLIENTE
I medici che esitano ancora a fare questa transizione verso una sanità partecipatoria, considerino le seguenti eccitanti possibilità.
In primo luogo, cominciando a considerare i pazienti come "clienti" inizieremo a portare il sistema sanitario a fare un importante passo avanti. I pazienti possono diventare grandi fonti di ispirazione - esattamente come il paziente del video con la bicicletta. Settimana dopo settimana sono sorpreso dal potere che i miei pazienti mostrano nel superare tutte le difficoltà che incontrano ogni giorno della loro vita. Noi medici non sfruttiamo adeguatamente questo potere. Troppi di noi continuano a vedere i pazienti come oggetti passivi piuttosto che soggetti attivi che possono contribuire alla loro stessa salute.
Impegnarci con i nostri pazienti può inoltre dimostrarsi conveniente in termini di costi. Per esempio, solitamente i medici dicono ai loro pazienti di tornare dopo un certo periodo di tempo, diciamo tre mesi. Tuttavia, se le cose vanno male è troppo tardi, mentre se le cose vanno bene è troppo presto. Un interessante approccio alternativo è stato studiato in un trial clinico randomizzato condotto su pazienti affetti da malattia infiammatoria intestinale.
(1)
In una parte dello studio, un medico tradizionale invitava i pazienti a ritornare dopo pochi mesi. Nell'altra parte, per contro, i pazienti erano lasciati liberi di tornare in qualunque momento pensassero fosse quello giusto. E sapete cos'è successo? Tornavano dal medico meno frequentemente. Il numero di mancati ritorni è diminuito e i pazienti ritornavano sempre esattamente in tempo perché erano loro a decidere quando farlo.
Questi sono soltanto alcuni esempi straordinari di come coinvolgere i pazienti sia una soluzione semplice, tanto per migliorare la qualità del trattamento quanto per ridurre i costi. È una scelta semplice. Ho scelto il mio lavoro perché amo la medicina e perché provo compassione per i miei pazienti. Per me, considerare un paziente come un partner nel processo medico è l'unico modo per progredire. E fare il medico diventa molto più gradevole se i pazienti vengono trattati come soggetti attivi.
Ho terminato la presentazione condividendo un biscotto della fortuna con Hans (che è davvero un mio paziente). Il biscotto diceva semplicemente: "Salute partecipatoria per tutti noi." Spero che questo augurio diventi realtà molto presto.

Il Prof. Bastiaan Bloem è un consulente neurologo del Radboud University Nijmegen Medical Centre nei Paesi Bassi. La sua presentazione, sulla quale si basa questo articolo, può essere vista su YouTube cercando "From God to Guide" (Da Dio a Guida). Bloem è stato nominato a ottobre "eroe sanitario nazionale per la centralità dei pazienti" nel suo paese - i Paesi Bassi - principalmente per il suo lavoro innovativo sul Parkinson.
(1) A Kennedy, E Nelson, D Reeves, G Richardson, C Roberts, A Robinson, A Rogers, M Sculpher e D Thompson. 'A randomised controlled trial to assess the impact of a package comprising a patient-orientated, evidence-based self-help guidebook and patient-centred consultations on disease management and satisfaction in inflammatory bowel disease.' Health Technol. Assess. 7 (28):iii, 1-iii113, 2003.

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