Gli scienziati del Centro di
Ricerca sull'MRI della University of British Columbia (UBC) stanno
utilizzando la risonanza magnetica per immagini per individuare
modifiche nel cervello affetto da Parkinson non rilevabili con
altre tecniche di analisi convenzionali.
La teoria tradizionale suggerisce che il cervello affetto da
Parkinson appaia normale nelle MRI, confinando pertanto l'uso
diagnostico di queste analisi alla sola esclusione delle condizioni
che possono simulare il Parkinson. Tuttavia, la nuova ricerca
finanziata dalla Parkinson Society Canada suggerisce la possibilità
di utilizzare questo strumento diagnostico per guidare meglio
la chirurgia basata sulla stimolazione cerebrale profonda (SCP)
e fornire nuovi modi di misurare il progresso del Parkinson nel
cervello.
Il Dott. Alexander Rauscher (nella foto), ricercatore responsabile
del progetto presso la UBC, ha sviluppato e convalidato una nuova
tecnica che consente di ottenere immagini migliori e più
nitide del cervello e delle vene rispetto a quelle ottenute con
l'MRI tradizionale. Il ricercatore si augura che questa nuova
tecnica - definita immagini pesate in suscettibilità (SWI)
con sequenze multieco - possa portare a una diagnosi precoce
del Parkinson. Secondo il Dott. Rauscher, questa tecnica potrebbe
trovare largo impiego soprattutto nella diagnosi di altre patologie
neurologiche.
Inoltre, l'analisi diretta e affidabile del nucleo subtalamico
con la tecnica di Rauscher potrebbe eliminare una fase procedurale
della chirurgia DBS, riducendo notevolmente i tempi dell'intervento
che normalmente richiede dalle sei alle otto ore.
Intanto, nella ricerca complementare, anche il Dott. Martin McKeown,
collega di Rauscher, sta utilizzando la MRI tradizionale (eseguita
contemporaneamente alla SWI) e nuovi metodi di analisi per individuare
modifiche nella forma delle strutture cerebrali nei parkinsoniani.
Queste immagini vengono quindi esaminate per capire se le modifiche
morfologiche sono correlate a sintomi specifici del Parkinson
e alla gravità della malattia.
"Se riuscissimo a individuare i soggetti a rischio di sviluppare
sintomi specifici, potremmo migliorare la nostra capacità
di offrire trattamenti più efficaci ed effettivi"
spiega McKeown.
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